Una ricetta originale sui pregiudizi e stereotipi in azienda

di Marco Giovanardi, Filosofo e ingegnere ed Elena Fiamma Zappia, Psicologa e formatrice aziendale

Si avvicina il periodo delle ferie e di conseguenza un periodo di riflessioni.

Durante l’anno abbiamo assistito ad azioni individuali, goffe e improvvisate, che hanno rappresentato il maldestro tentativo di creare un buon piatto di stereotipi e pregiudizi con cui nutrire quotidianamente le aziende. Ma per essere degli eccellenti chef bisogna conoscere alla perfezione i propri piatti e le insidie che essi nascondono. Per questa preparazione, molto più semplice di quel che si potrebbe pensare, è importante darsi un metodo, usare le giuste dosi e controllare bene i tempi di cottura. Per questo motivo, noi di ONE4 abbiamo selezionato per voi questa specifica ricetta, che risulta, a nostro parere, essere la migliore per ottenere pregiudizi e stereotipi solidi, pesanti da digerire e amari al punto giusto!

Ingredienti:

200 g di rigidità
250 g di disinformazione
75 g di mancanza di comunicazione
50 g di sfiducia nell’altro

Un pizzico di paura di mettersi in discussione
Una spolverata di autocentrismo

Preparazione:

Prima di tutto, preparate il piano di lavoro cospargendolo di disinformazione, in modo tale da partire con basi solide, fatte di informazioni errate o parziali, che possano limitare la visione del mondo della nostra ricetta. Versateci poi sopra la mancanza di comunicazione, perché si sa che una semplice conversazione tra colleghi potrebbe sfociare in un papocchio di confronto costruttivo e fiducia reciproca, il quale minerebbe totalmente la riuscita dei nostri pregiudizi. Se proprio volessimo inserire un po’ di comunicazione, per aiutare la lievitazione del preparato, assicuriamoci che si tratti esclusivamente di comunicazioni riguardanti l’ambito lavorativo e che avvenga tra funzioni aziendali, mai e poi mai tra le persone. Anche le chiacchiere alla macchinetta del caffè possono andar bene al medesimo scopo, l’importante è che si tratti di pettegolezzi in merito ad assenti, che aiutino a consolidare l’immagine statica e stereotipata nella mente di chi parla.

A questo punto, iniziate a mescolare il tutto aggiungendo a mano a mano la rigidità, a filo. In questo modo ci si assicurerà che l’azienda limiti la libertà dei singoli e con essa le occasioni di confronto tra le persone, che, come abbiamo detto, potrebbero smontare inesorabilmente i nostri pregiudizi e stereotipi. Aggiungere un pizzico di paura di mettersi in discussione e versare il tutto in una terrina imburrata con la sfiducia nell’altro, ciò eviterà che i colleghi si espongano tra di loro scambiandosi, magari, feedback costruttivi. Se ciò accadesse sarebbe un disastro, poiché permetterebbe alle persone di crescere e di sgretolare i pregiudizi propri e altrui! Infatti, gli individui potrebbero iniziare a riflettere su di sé, sugli altri e su come poter agire per modificare in meglio le relazioni all’interno dell’azienda: un effetto domino da evitare assolutamente.  Infornare a 180° C per quaranta minuti. Lasciare raffreddare e spolverare con l’autocentrismo. In questo modo il management potrà avere un atteggiamento direttivo evitando con agilità le interazioni bi-direzionali con le figure intermedie: è importante trasmettere ordini tassativi che non vengano mai messi in discussione. L’obiettivo è sempre quello di evitare l’affiorare di un possibile confronto, il quale, come già detto, porterebbe con sè riflessioni e aperture mentali indesiderate.

Servire freddi e stantii, per ricordarci che gli stereotipi ci hanno permesso di sopravvivere quando eravamo vulnerabili e facili prede della natura (per difenderci da frutti velenosi e animali feroci) e che, nonostante siano passati migliaia di anni e la natura sia stata addomesticata, dobbiamo rimanere fedeli alle amare abitudini.

D’altra parte:

“Chi lascia la via vecchia per la nuova, sa quel che lascia e non sa quel che trova”

 Perché rischiare?

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