Intervista ad un esperto sul tema della leadership
I corsi leadership sono un must di OSM Network e Flavio Cabrini – che è il general manager della società – ne tiene personalmente almeno una dozzina all’anno. In genere si sviluppano nell’arco di due giornate: non è facile perciò sintetizzarne i contenuti e l’utilità in un’intervista. Ma ci proviamo ugualmente.
Cabrini, leadership è un termine pressoché intraducibile: un vocabolo italiano che esprima compiutamente il concetto infatti non esiste…
«Fino a metà dell’Ottocento il termine stesso leadership non esisteva nei vocabolari inglesi. Venne coniato per definire l’influenza che alcuni membri del Parlamento britannico riuscivano ad esercitare sull’assemblea. Influenzare è una parola chiave: significa trasmettere qualcosa dei tuoi valori, dei tuoi comportamenti, dei tuoi obiettivi ad altri che li fanno propri e a loro volta li diffondono».
C’è una domanda che l’umanità si pone dai tempi di Aristotele, che Filippo il Macedone assunse come precettore per insegnare l’arte del comando al figliolo: leader si nasce o si diventa?
«Quel figliolo è passato alla storia come Alessandro Magno e ciò già la dice lunga: il padre evidentemente era convinto che la leadership non fosse solo una questione genetica e i fatti gli hanno dato ampiamente ragione. Per quanto certe doti possano essere innate, è sviluppandole ed è attraverso l’apprendimento di nuove competenze che si diventa un leader ».
Sempre per Aristotele, un leader si distingueva per tre qualità: ethos, pathos e logos. E cioè virtù etiche, capacità di suscitare emozioni e abilità comunicative. La concezione aristotelica vale ancor oggi?
«Oggi in tema di leadership riconosciamo una varietà di stili, legati prevalentemente ai tratti della personalità, ciascuno dei quali può avere una sua efficacia. E tuttavia gli elementi fondanti restano quelli indicati da Aristotele. Da pathos e logos dipendono le capacità di motivare e di coinvolgere, mentre ethos per un leader significa in particolare sentirsi responsabile non solo del proprio operato ma delle sorti e della crescita del gruppo».
Sbaglio o stiamo parlando della cosiddetta leadership trasformazionale?
«È la definizione che dette il sociologo James Burns e francamente la trovo azzeccata. Un leader è l’attore di un cambiamento, trasforma il modo di agire e di pensare dei suoi collaboratori. Un leader crea altri leader».
In epoche anche abbastanza recenti, la leadership era necessaria pressoché esclusivamente al vertice di un’organizzazione. Oggi questo non basta più: la capacità di leadership è importante ad ogni livello.
«Assolutamente. In un’azienda moderna la leadership è una qualità che fa la differenza per chiunque rivesta un ruolo che comporta delle responsabilità di qualche rilievo. Un team vincente è caratterizzato da una leadership diffusa e chi ne è capo deve saper essere leader di altri leader».
Se è vero che leader si diventa, significa che è il risultato di un percorso. Come lo si può sintetizzare?
«In tre passi successivi. Farsi accettare, poi farsi valere, per ultimo farsi seguire. Perché un leader, come affermava Peter Drucker, è colui che ha dei seguaci. Senza seguaci non può esserci leader».
Farsi seguire dunque come presupposto di fare eseguire?
«È chiaro che un leader si qualifica per la capacità di dare ordini che vengano effettivamente eseguiti. Ma comandare non va confuso con imporre, così come essere autorevoli non va confuso con essere autoritari».