Le caratteristiche di un’azienda felice
Di Emanuela Spaggiari, Consulente e formatrice
Secondo l’Enciclopedia Treccani, la felicità è lo “stato d’animo di chi è sereno, non turbato da dolori o preoccupazioni e gode di questo suo stato”. Ora, la vita tutta, e forse quella aziendale in particolare, ci dimostra che la felicità non è un assunto stabile: in certi momenti ci sentiamo soddisfatti di noi, delle nostre relazioni, del nostro operato, in altri momenti vorremmo scappare dall’altro capo dell’orbe terracqueo e dimenticarci di tutte le fatiche del quotidiano.
Quindi è fondamentale, almeno dal mio punto di vista, partire da questo dato di realtà, che ci aiuta a non disperdere energie immaginando che qualcuno, in qualche parte del mondo, possa godere di continui momenti di felicità e appagamento.
Cosa dunque ci permette di disegnare una rotta che, quantomeno, porta verso la felicità in azienda, ossia verso momenti di appagamento per le persone e l’organizzazione? Procediamo per tappe.
Prima tappa: le persone sono abituate a parlare, e solo pochi sanno comunicare. Quando parliamo lo facciamo per noi stessi, esprimiamo i nostri bisogni, spesso inconsapevolmente, anche quando vorremmo dare consigli a un amico. Accompagnare le persone a questa consapevolezza significa aiutarle a comprendere meglio se stesse, i propri bisogni, le proprie fatiche e i talenti che hanno a disposizione per crescere e migliorarsi.
Seconda tappa: le aziende sono fatte di persone, e ogni persona ha un determinato stile di comportamento. Non tutti gli stili sono predisposti alla relazione, ma tutti hanno qualche spiraglio da cui passare per un avvicinamento possibile. È importante che le persone conoscano se stesse e i propri stili, oltre che gli stili dei colleghi: questo le aiuta a non pensare che qualcuno ce l’ha con loro, ma che quel qualcuno agisce così seguendo il proprio stile, semplicemente. Questa consapevolezza porta con sé un senso di leggerezza concreta, e fa aumentare anche l’amor proprio.
Terza tappa: le aziende sono organismi viventi, e in quanto tali devono sopravvivere e possibilmente crescere, innovare, evolvere. Quindi hanno un obiettivo che va oltre il benessere del singolo operatore, ma che, senza quel benessere, fatica ad essere raggiunto. Quando lavoro sulla motivazione delle persone, in azienda, mi capita di chiedere qual è il primo valore aziendale, e immancabilmente qualcuno risponde “Fare soldi”. Siamo proprio sicuri? Al di là del fatto che il denaro non è un valore ma un mezzo, le aziende che prosperano sono quelle che coltivano il senso di ciò che si fa ogni giorno, e i guadagni arrivano grazie all’operato delle persone e dei team che credono in ciò che fanno.
Come si fa a fare tutto questo, tra le corse di ogni giorno? Mi sento dire che non c’è tempo e che non siamo tutti psicologi. Vero, ma si può fare tanto, se abbiamo le competenze giuste. Spesso diamo grandissima rilevanza alle competenze tecniche, e pensiamo che quelle relazionali siano secondarie, tanto “lo sappiamo fare”. Certo, lo sappiamo fare, ma come? Quali sono i modelli che hanno orientato la nostra comunicazione? Quelli, anche disfunzionali, che abbiamo acquisito durante l’infanzia, quelli che ci vengono dalle nostre convinzioni, a volte limitanti, a volte antiquate. Modelli che continuiamo a ripetere, sempre più stanchi e sempre più convinti che “serva un miracolo”. In realtà basta molto meno.
Non servono miracoli per fare spazio ad un po’ di felicità in azienda: è sufficiente intrecciare i valori (le persone al primo posto) con le competenze (non solo tecniche), la fiducia in sé e negli altri, una buona dose di resilienza e il coraggio di affrontare ciò che accade. Non è facile ma si impara. Basta un po’ di curiosità, di umiltà, e la voglia di mettersi in gioco.